20.1.08

Alcune note sui rifiuti campani

del dott. Antonio Pastena
Lo scopo di queste note è quello di voler fornire quella che è una mia lettura della situazione dei rifiuti campani, partendo dalla mia esperienza professionale di chimico operante da oltre vent’anni in questo settore. Volutamente queste note tralasciano l’elencazione dettagliata di numeri e riferimenti legislativi, cercando solo di dare una traccia di riflessione.
1 – I rifiuti solidi urbani della Campania
Nessun discorso serio si può condurre sulla crisi della gestione dei rifiuti campani se non si parte dalla corretta definizione di questi rifiuti, diversi in composizione da quelli mediamente descritti in letteratura. Nel rifiuto campano troviamo infatti: enormi quantità di imballaggio da attività commerciale ed edilizia; grandissime quantità di rifiuto artigianale spesso tossico (dal fusto di solvente del carrozziere a quello di colla del suolificio, etc.); rilevanti quantità di rifiuto industriale (fanghi di rettifica o di galvanica, scarti di colorifici, etc.) provenienti da fabbriche ufficiali e clandestine.
Questa osservazione, fondamentale per capire di cosa stiamo parlando, trova verifica in due fatti:
l’aumento di produzione di rifiuti solidi urbani negli ultimi anni (a Napoli da 510 kg/ab/anno a 580, dati ufficiali), non certo giustificabili con un repentino aumento del tenore di vita;
la qualità del percolato prodotto da questi rifiuti, che arriva ad un valore di 140000 mg/l di COD, che potremmo considerare il parametro spia per il carico inquinante (valore non rintracciabile in letteratura internazionale per percolati da RSU).
Ma come arrivano questi rifiuti non urbani nella massa degli urbani? Due sono le strade: l’abbandono incontrollato nelle strade e nei cassonetti (e con i cumuli presenti in questi giorni l’operazione è favorita e in forte crescita), la corruzione di singoli operatori che per “mazzette” caricano nel proprio compattatore rifiuti industriali durante il giro di raccolta. In passato hanno inciso anche le dubbie gestioni dei siti di stoccaggio e trattamento provvisori affidati a società private operanti nel settore dei rifiuti industriali.
Chi avrebbe dovuto vedere tutto ciò e non l’ha fatto, e perché?
I Comuni e le società di raccolta (ASIA, Consorzi vari) impegnati nella distribuzione clientelare dei posti di lavoro non hanno mai attivato controlli e raccolta differenziata per insipienza e, talvolta perché, per quieto vivere, hanno lasciato la gestione dei traffici illeciti nelle mani di figure equivoche assunte, con cui non si è mai voluto entrare in contrasto per paura o per interessi elettorali.
Le società di smaltimento e di stoccaggio (vedi FIBE, FISIA, siti “provvisori”), avevano interesse a quantitativi quanto maggiori possibile essendo pagati a peso (e così non conviene guardare troppo per il sottile su cosa arriva e non si deve mai avviare la raccolta differenziata).
Gli organi di gestione e controllo (e che per le varie competenze comprendono Comune, Provincia, Regione, anche come ARPAC e nel nostro caso Stato, essendo il Commissariato di Governo), non hanno mai provveduto a fare una serie analisi della composizione merceologica del RSU campano per non scoperchiare una pentola politicamente scomoda.
Io stesso ho dovuto scontrarmi con organismi pubblici e privati per affermare la verità sui percolati campani: i dati ufficiali parlavano di un COD intorno a 30000, mentre il dato reale era, come detto, di 140000, ammetterlo era ammettere la natura industriale del rifiuto, ed in più ammetterlo era interrompere l’enorme movimentazione di questi liquami presso impianti improbabili distribuiti per l’Italia centro-meridionale, con fatturati elevatissimi regalati a ditte private. Su questo c’è da dire che pur essendo stato riconosciuto il reale carico inquinante del percolato, non è cambiata la sua gestione.
2 – Le conseguenze
Da quanto detto precedentemente si ricavano delle conseguenze inquietanti:
il rifiuto abbandonato per le strade ha dei rischi di natura chimico-biologica superiore a quello preventivabile;
la movimentazione di questi rifiuti presenta criticità per la popolazione e gli operatori;
il conferimento di questi rifiuti ai CDR espone gli operatori a rischi accessori nelle fasi di manipolazione, ed in più nulla si sa sulla composizione dell’aria estratta ed emessa nell’atmosfera;
la FOS (frazione organica stabilizzata, ovvero l’umido separato dai CDR), prodotta (che dovrebbe servire a recuperi ambientali) non è determinata nei suoi inquinanti;
le ecoballe prodotte, oltre a non essere dotate di adeguato potere calorifico, non sono idonee alla combustione in un impianto per RSU (a tal proposito si veda il recentissimo sequestro dell’inceneritore di Terni, che ha emesso sostanze inquinanti in atmosfera per aver combusto materiali difformi);
il percolato prodotto da questi rifiuti ha un carico inquinante devastante.
3 – Cosa fare
Voglio esprimere in breve qui di seguito quali possono essere, sulla scorta di quanto detto, le misure a mio avviso indispensabili e di pronta efficacia, considerando la fase emergenziale e quella di messa a regime (si potrebbe facilmente calcolare attuabile in pochissimi mesi):
Emergenza
realizzazione di piazzole di stoccaggio provvisorio comunali realizzate secondo norma (impermeabilizzazione, raccolta di percolati ed acque meteoriche, controllo di odori e animali, etc.) da funzionare per non più di 15 giorni;
esatta valutazione della composizione del rifiuto campano abbandonato;
esatta valutazione della composizione di FOS ed ecoballe;
interramento controllato dei materiali ormai non più separabili;
gestione controllata dei percolati;
ripristino delle aree di stoccaggio:
Messa a regime
moratoria per un anno su tutto il territorio regionale dei contenitori usa e getta;
creazione di un sistema di controlli e sanzioni per le attività commerciali basato sul conferimento ai consorzi di filiera delle quantità di imballaggio desumibile dalla quantità di merci vendute;
creazione di un sistema di controlli e sanzioni per le attività edilizie di costruzione, demolizione e ristrutturazione;
avvio della raccolta differenziata porta a porta con sistema premiale e sanzionatorio strutturata su più tipologie (umido, metalli, carta, plastica, vetro, urbani pericolosi, quota residuale indifferenziata);
esatta valutazione della composizione del rifiuto campano raccolto;
creazione di siti di stoccaggio per i materiali secchi ogni 30-40000 abitanti dove conferire la raccolta differenziata e immediatamente collegati ai consorzi di filiera (per una città come Napoli se ne potrebbero creare anche 20-30);
creazione di almeno 15 impianti di compostaggio in Campania dove conferire l’umido differenziato unitamente agli scarti da potatura e da mercati ortofrutticoli, con la possibilità di creare un marchio DOP del compost di qualità campano (onde avere anche un rilancio di immagine della nostra martoriata terra);
esatta valutazione merceologica della quota residuale di rifiuto (che non dovrebbe superare il 20% dell’attuale) per valutarne la destinazione finale più opportuna (potendo non essere necessariamente l’incenerimento il più conveniente).
4 – Un’ultima osservazione
L’ultima osservazione che voglio fare è sull’individuazione di siti di smaltimento definitivo che si sta attualmente indirizzando su vecchie discariche chiuse (Pianura, Terzino, Ariano Irpino, etc.). La legislazione ambientale ha sempre previsto (già dal 1984), delle fasi di gestione cosiddetta post-mortem delle discariche, gestione estremamente dettagliata in legislazione del 2003. La competenza del controllo e dell’effettiva realizzazione del post-mortem è in primis nelle mani dei Comuni. Perché non è stato fatto? E soprattutto perché non sono disponibili i dati degli impatti ambientali (su suolo, sottosuolo, acque, aria) obbligatori in queste leggi? Chi è stato a non produrli e a non imporre che fossero prodotti e nel contempo a consentire che spesso in queste aree si siano sviluppate attività antropiche anche turistiche, con conseguente valorizzazione commerciale di aree probabilmente inquinate di proprietà di chi aveva gestito le discariche?

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